scritto da Katiuscia Laneri
Chi lavora negli ambienti sanitari oggi deve fare i conti con la paura di venire contagiati e di contagiare i propri cari rientrando a casa da lavoro. Deve rispondere ad una crisi con misure di protezione, a volte mancanti e inadeguate.
Per non parlare del senso di impotenza di fronte ad un nemico invisibile di cui si sa molto poco e che sta mietendo tante vittime.
L’epidemia di Covid-19 ha evidenziato il grande bisogno di cura di sé, tanto più in chi ha dovuto gestire varie patologie e lavorare in ambienti e condizioni difficili, lavori logoranti che espongono al rischio burnout.
Uno studio elaborato dal Centro di Ricerca EngageMinds HUB che fa parte dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, in collaborazione con la Società Italiana di Management e Leadership in Medicina (SIMM) e con il Segretariato Italiano Giovani Medici (S.I.G.M.), ha evidenziato infatti come nelle prime 4 settimane dell’emergenza 7 medici su 10, quindi il 70% abbia accusato un forte stress per la mole imponente di lavoro a cui è stata sottoposta.
Da qui l’idea di offrire trattamenti shiatsu gratuiti a persone che hanno affrontato, e ancora affrontano, intensi e stressanti momenti di difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria in corso.
Con il progetto “Aiutiamo chi ci ha aiutati” la sezione VIS FISieo (Volontariato Italiano Shatsu – Federazione Italiana Shiatsu Insegnanti e Operatori) intende ringraziare i medici, gli infermieri e i farmacisti che da diversi mesi combattono in prima linea contro il Coronavirus.
Dall’inglese «bruciare completamente», consiste nell’esaurirsi delle energie. Una situazione di stanchezza che, purtroppo, non si risolve con una notte di sonno. Il lento e graduale logoramento psicologico se non gestito o controllato adeguatamente, porta ad un progressivo danno psichico e fisico che può portare
fino al suicidio.
E’ un tipo di disagio psicofisico che colpisce in particolare operatori e professionisti impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali. Le cosiddette professioni d”aiuto o “helping professions”, ma anche coloro che, pur avendo obiettivi lavorativi diversi dall’assistenza, entrano continuamente in contatto con persone che vivono stati di disagio o sofferenza. Il
problema è stato riscontrato in modo predominante in coloro che operano in ambiti sociali sociosanitari e sanitari o della salute come medici, psicologi, assistenti sociali, pedagogisti, counselors, esperti di orientamento al lavoro, fisioterapisti, operatori dell’assistenza sociale e sanitaria, infermieri, educatori sanitari e socio-pedagogici, agenti delle forze dell’ordine e operatori del volontariato.
A partire dai primi anni in cui il fenomeno è stato studiato, esso è stato riscontrato anche in tutti quei mestieri legati alla gestione quotidiana dei problemi delle persone in difficoltà, a partire dai poliziotti, carabinieri, vigili del fuoco, fino ai consulenti fiscali, avvocati, nonché in quei tipi di professioni educative (per es. insegnanti) che generano un contatto, spesso con un coinvolgimento emotivo profondo, con i disagi degli utenti con cui lavorano e di cui guidano la crescita personale.
I soggetti cominciano a sviluppare un lento processo di “logoramento” o “decadenza” psicofisica dovuta alla mancanza di energie e di capacità per sostenere e scaricare lo stress accumulato. Il burnout comporta un atteggiamento spesso improntato al cinismo e un sentimento di ridotta realizzazione personale. Il
soggetto tende a sfuggire l’ambiente lavorativo assentandosi sempre più spesso e lavorando con entusiasmo ed interesse sempre minori, a provare frustrazione e insoddisfazione, nonché una ridotta empatia nei confronti delle persone delle quali dovrebbe occuparsi. Il burnout si accompagna spesso a sintomi psicosomatici come l’insonnia e psicologici come la depressione. I disagi si avvertono dapprima
nel campo professionale, ma poi vengono con facilità trasportati sul piano personale: l’abuso di alcol, di sostanze psicoattive ed il rischio di suicidio sono elevati nei soggetti affetti da burnout.
Negli operatori sanitari, la sindrome si manifesta in quattro fasi:
1. Entusiasmo idealistico: Il soggetto sceglie un lavoro di tipo assistenziale.
2. Stagnazione: Il soggetto, sottoposto a carichi di lavoro e di stress eccessivi, inizia a rendersi conto di come le sue aspettative non coincidano con la realtà lavorativa.
3. Frustrazione: Il soggetto avverte sentimenti di inutilità, di inadeguatezza, di insoddisfazione, uniti alla percezione di essere sfruttato, oberato di lavoro e poco apprezzato; spesso tende a mettere in atto comportamenti di fuga dall’ambiente lavorativo, ed eventualmente atteggiamenti aggressivi verso
gli altri o verso se stesso.
4. Apatia: L’interesse e la passione per il proprio lavoro si spengono completamente e all’empatia subentra l’indifferenza.
Come altre tecniche, anche lo shiatsu, fa parte di quegli interventi atti a sviluppare le capacità di salutogenesi personale. In sinergia con le terapie mediche e fisioterapiche senza alcuna sovrapposizione e invasione di campo.
Gli effetti del burnout si manifestano in ogni soggetto in modo diverso e l’operatore shiatsu tiene conto di questa soggettività realizzando interventi ogni volta diversi, avendo valutato le necessità della singola persona, proprio perché lo strumento di lavoro sono le mani dell’operatore che regola con continuità, attimo per attimo, le stimolazioni pressorie.
Lo shiatsu, inoltre, non tiene conto solo dei disturbi mentali e fisici che accompagnano questa sindrome, aiuta anche la persona a ritrovare stabilità, sicurezza e autostima. “Aiutando chi ci ha aiuta” nel tornare a credere in se stesso.